Sandboarding, sfrecciare giù dalle dune del deserto in Namibia

La tavola sfreccia verso il basso, come un missile terra-terra che punta diritto verso l’obiettivo. Ma là sotto non c’è nessuna nave nemica. Solo sabbia, tanta sabbia. E all’orizzonte, neppure troppo lontano, il mare. L’adrenalina pompa, i muscoli sono tesi allo spasmo. Specie gli avambracci, che devono tenere alzato il bordo della tavola per garantirsi che segua quell’invisibile traiettoria disegnata dalla natura e dagli esperti di marketing del turismo d’avventura.

Sandboarding

Un po’ come snowboarding, verrebbe da pensare lì per lì. Giusto e sbagliato al tempo stesso. Ma per capirlo ci vuole del tempo. Svakopmund, Namibia. La mecca dell’Adventure Holiday.

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È da lì che infiliamo in quattro pulmini. Siamo poco più di una ventina. Noi dell’Overland (stiamo attraversando Zimbabwe, Botswana, Namibia e Sudafrica a bordo di un camion), più altri ragazzi e ragazze. I mezzi lasciano quasi subito la città per dirigersi verso le dune. Mezz’ora di “scenic drive”, su una strada che segue l’andamento e le bizzarrie dei cumuli di sabbia, qui più stabili che altrove. Il vento non scompagina la geometria dei rilievi: per questo, è il luogo ideale.Perché, ignoti strateghi hanno disegnato un invisibile percorso, una sorta di acquapark di sabbia dove gli scivoli sono naturali. Un po’ come nel canyoning, dove è possibile lasciarsi sospingere dalla pendenza e dalla corrente dei torrenti lungo rocce levigate dalla forza dell’acqua, senza timore di spuntoni di roccia o ostacoli improvvisi.

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Un pezzo di compensato, tutto qui?

L’equipaggiamento sembra poca cosa, e non sai se sentirsi rassicurato o intimorito. Un casco di quelli normalmente usati per il rafting, le gomitiere, un paio di guanti. E la tavola, ovviamente. È un pezzo di compensato, niente di più. Liscio su un lato, ruvido sull’altro. Ma prima di capire come usarla, bisogna salire lassù, in cima alla prima duna. Sembra abbastanza vicina, ma a patto di non avere mai “scalato” prima la sabbia. Un passo in avanti, due indietro. Faticosissimo. Salire diretti, non è proprio consigliato: ci si stanca subito, e si scivola ugualmente all’indietro. Meglio procedere a zigzag, magari seguendo le orme di chi ti precede. Manca qualche minuto alle tre del pomeriggio e il sole picchia forte.

BOARDING

Credit: James Renate  http://bit.ly/1rSqjTW

Una volta raggiunta la vetta (ops, la cima della duna), è finalmente giunto il momento del briefing. L’istruttore è un ragazzo che fa il simpatico, abituato a recitare meccanicamente il mantra delle istruzioni. In buona sostanza, la cosa sembra semplice: dopotutto, si tratta solo di sdraiarsi sulla tavola e lasciarsi scivolare giù, verso la base della duna. La parte liscia a contatto con la sabbia, quella ruvida sotto di sé. Ma quando ormai ti sei convinto che sia un gioco da ragazzi, iniziano le “specifiche”. Perché una tecnica serve, eccome.

Quanto ai sandboarders, ovvero quelli con gli snow… ma sulla sabbia, il compito si rivela ben più difficile del previsto. la tavola non scivola, ci si impianta. Le curve, un disastro. Insomma, lontani anni miglia dei video dei professionisti, come questo:

Segui la curva della duna, se la perdi… chiudi occhi e bocca

La riuscita della discesa si basa su due fattori strettamente collegati. Il primo, è che c’è una traiettoria naturale da seguire; il secondo, è che bisogna essere perfettamente bilanciati per riuscire a farlo. Quindi: sdraiarsi con tutto il corpo sulla tavola; tenere alzati i piedi, dai polpacci sino alla pianta, per evitare che le punte vengano a contatto con la sabbia frenando la discesa e causando pericolose sbandate. Il corpo dev’essere un tutt’uno con la tavola. Con gli avambracci bisogna sollevarne la parte anteriore (molto leggera, visti i materiali) e tenerla leggermente alzata, diciamo un dieci centimetri sopra la sabbia, per evitare che si incagli. Una spinta di qualche sadico là dietro, poi la discesa può iniziare. Eccomi qua…

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Chi mi precede era un po’ distratto, perché alla prima leggera curva (la tavola segue, col peso di gravità), l’andatura della duna verso la sua base) sbanda vistosamente, mette giù un piede e si rovescia, sollevamento un bel po’ di sabbia. Difficile farsi male; molto più facile, riemergere sputacchiando e tentando di scrollarsi di dosso il “welcome” del deserto.
Le discese, spiega il nostro istruttore, sono sei in tutto, di difficoltà crescente. Chi non se la sente, può smettere quando vuole.
“Se vedete che state sbandando, poggiate i piedi a terra e cercate di rallentare, per riguadagnare la traccia. Tutto chiaro?”.
Certo, ovvio, Quando mai?

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Credit: Brendans Adventure http://bit.ly/1hpLTu2

Una spinta da dietro, e quasi non ci credi che ti stai buttando giù da una duna a 40 chilometri all’ora. Tutt’attorno, è silenzio. Si sente solo il fruscio della tavola sulla sabbia, e il cuore che batte. La paura di ribaltarsi è grandissima, ma non supera il senso di assoluta libertà. Una leggera curva verso destra, sbando ma mi riprendo. Poi la retta finale, e il piano alla base della duna. È andata. Ed è subito ovvio che non puoi che prenderci gusto.

La risalita non fa per noi…

Ora il problema è risalire. Penso agli scialpinisti, tanta fatica per arrivare in cima e scendere così veloci: ma la salita è parte integrante dell’esperienza, lì. Qui, è solo fatica e sudore. In cima, ci sono anche una decina di aspiranti sciatori. Hanno tavole da snowboarding, e non vedono l’ora di zigzagare lungo le dune. Ma sono meno fortunati di noi: la tecnica la conoscono, e si vede, ma la sabbia non è come la neve e i movimenti sono impacciati, la tavola scende sì, ma molto lenta. E le curve, questa volta non imposte dalla morfologia della duna ma libere, sono molto faticose.

Noi siamo i lie-down sandboarders, quelli sdraiati. Mica i veri sandboarders, come nella foto qui sopra. E ci stiamo prendendo gusto. Si cammina un po’ sulla sommità di una duna per raggiungerne un’altra: ecco la seconda discesa. Altrettanto bella. È solo alla terza discesa, che iniziamo a capirci qualcosa. A intuire quelle linee che prima neppure immaginavamo. A studiare il percorso, manco fossimo improvvisamente diventati esperti. La quarta discesa prevede una “velocità di crociera” di 60 km orari.

“Scendere giù di lì? No, questa è troppo ripida”.

Image 3, Namibia, Africa

Credits: World Challenge http://bit.ly/1ms3qoV

E invece lo fai. Un missile. Se appena provi a guardati intorno ti sbilanci subito, e una vampata di panico ti assale. Frazioni di secondi, il tempo di raddrizzarti d’istinto, e rimetterti in traiettoria. Qualcuno continua a rovesciarsi, ma non per questo si arrende. L’arrivo è in genere tranquillo, ma non sempre. Giù dalla quinta duna, punto i piedi per non prendere troppo slancio e volo a qualche metro di distanza. Sabbia in bocca, e sui capelli. Ma ci si rialza con una risata: è divertente anche questo, a velocità ridotte. L’ultima duna arriva veloce, anche troppo: 80 km orari, avverte l’istruttore con toni malcelatamente sadico.

“D’accordo, siamo qui per questo, no?”

Bene, bravi: e adesso giù a ottanta all’ora

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Credit: Acacia Africa http://bit.ly/1hpL9oG

Una specie di strapiombo, due paraboliche che fanno pensare al bob, la bocca che si apre per cacciare un urlo liberatorio, di paura e gioia insieme, ma non esce un solo suono per paura che persino quello possa fare sbandare la tavola. Che a un certo punto si impenna, e vola. Atterrando poco dopo, sofficemente e senza perdere velocità. È andata.

Ancora non è finita, però: resta la ciliegina della discesa in bobcat, a coppie su un’unica tavola. Ma come si fa? Carol, stranamente, si fida di me. Io sto davanti, non più sdraiato ma seduto, le ginocchia ripiegate sul busto, rannicchiato. Lei dietro, le gambe incrociate, le mani indietro per frenare con i guanti. Quasi come uno slittino su neve.

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Credit: Bucket Tripper http://bit.ly/1s7e3kg

Si scende più lenti: divertente, ma l’adrenalina se l’è ormai portata via la discesa da 80 km all’ora. Il tempo è volato, come le nostre tavole sulla sabbia. Che ora si tinge di un caleidoscopio di colori. Caffelatte, nero, rossiccio. E all’orizzonte, sopra il mare, c’è un tramonto che chiude inesorabilmente un pomeriggio perfetto. Di emozioni e avventura senza fare rumore, senza sporcare, senza rovinare nulla. Sapendo che, anche a volerlo rifare, quel batticuore non tornerà più.

Per saperne di più:

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