Come (non) t’acchiappo il turista cinese

C’è un fitto capannello, tra San Marco e il Palazzo Ducale. Un gruppo di turisti cinesi ascolta la guida con ombrellino che cerca di spiegare loro cosa sia una chiesa. Fotografano tutto e hanno già fatto i primi acquisti: due signori in maniche corte sfoggiano altrettanti berretti da capitani di lungo corso, con la scritta “Venezia” in oro; quanto alle mogli, sono già belle cariche di pacchetti.

Scene simili davanti agli Uffizi a Firenze, e al Colosseo. Non è folclore. Sono soldi. Tanti soldi. I turisti cinesi hanno fame d’Europa. E l’Italia, che fa? Insegue affannosamente Francia, Germania e Svizzera. Non basta sfoggiare Venezia. Né Firenze, o Roma: non più. Serve una cultura dell’accoglienza fatta di una strategia che promuova il made in Italy e di tante piccole cose: guide che parlino il mandarino o il cantonese, bollitori elettrici negli alberghi, negozi pronti ad accettare le credit card cinesi, personale specializzato nell’accoglienza in aeroporto. Serve, ma non c’è. E ancora una volta è il Sistema Paese a uscirne sconfitto.

“Partiamo con un grande vantaggio teorico, siamo pur sempre il paese dei sogni; poi però stiamo lì ad aspettare, mentre gli altri fanno e recuperano”, sintetizza Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi. Difficile dargli torto: non esistono certezze neppure sulle cifre. “Per elaborare una strategia bisognerebbe prima ragionare sui numeri” conferma il direttore generale dell’Enit, Paolo Rubini, “ma la confusione regna sovrana”.

Le previsioni, invece, quelle ci sono. E allora partiamo da qui: da quei cento milioni di cinesi che, secondo l’Organizzazione mondiale del turismo, viaggeranno al di fuori dei propri immensi confini entro il 2020, anche se c’è chi scommette che questa cifra stratosferica sarà raggiunta in anticipo. Ad oggi, siamo a 57,3 milioni (cifre 2010, +20% sul 2009) per una spesa complessiva di 35 miliardi di euro, che diventeranno 72,5 nel 2015.

Le mete vicine più gettonate sono Hong Kong e Macao, seguite dall’ampio ventaglio dei Paesi del Nordest asiatico. A spingersi sino in Europa, penalizzata dalla crisi e dall’alto prezzo del petrolio, è un’élite: fatta soprattutto di gruppi organizzati, ma destinata ad ampliarsi e modificarsi radicalmente. I turisti che conosciamo oggi sono quelli dei viaggi mordi-e-fuggi: dieci nazioni in dieci giorni. Perché bisogna cercare di vedere tutto, e poco conta che Roma o Parigi non si possano proprio visitare – secondo canoni occidentali – in poco più di mezza giornata.

Ma ci sono altri segmenti: come gli universitari cinesi in Europa, che sono 130 mila: quando arrivano i parenti, sono loro a scarrozzarli in giro per il vecchio continente. Poi vanno coccolati i nuovi ricchi (il 20% sul totale, secondo l’ICE di Shangai), manager che fanno affari con l’Occidente e non badano a spese. E presto decollerà anche il turismo individuale. Per ora, la maggior parte dei “visitors” arriva in Europa dalle grandi città (Pechino, Shangai e Canton), ma il boom è dietro l’angolo: il governo di Wen Jabao ha appena annunciato la creazione di 70 nuovi aeroporti in tre anni: obiettivo finale, arrivare a quota 230 con una flotta di 4700 aerei, molti dei quali trasvoleranno l’Asia.

E allora: Europa sì, ma dove? Francia e Germania dominano la scena, essenzialmente per due motivi: perché hanno un ventaglio di collegamenti aerei diretti imbattibile (Lufthansa e Air France, con gli hub di Francoforte e Parigi) e perché hanno potenziato i servizi offerti dai propri consolati, abbattendo i tempi d’attesa per il visto. Ne basta uno, per tutta l’area Schengen. L’Inghilterra resta fuori, e rischia di pagarne lo scotto. Nella hitparade continentale l’Italia è quarta, preceduta anche dalla Svizzera e presto superata dalla Spagna: mentre la Fondazione Italia-Cina di Cesare Romiti svolge una sorta di moral suasion turistica, l’ambasciata italiana di Pechino – sotto la spinta di Attilio Massimo Iannucci – ha velocizzato le procedure, rilasciando253 mila visti nel 2011. Pochini in termini assoluti, ma va considerato che molti viaggi pluri-destinazione toccano l’Italia con visti rilasciati da altri Paesi.

L’Istat certifica poco meno di un milione di arrivi, con dati aggiornati – si fa per dire – al 2010. Quanto ai voli “long haul”, Alitalia ha stretto alleanze con Air China e China Easter potenziando i collegamenti con Pechino e Shangai, ma intanto i competitors stanno già programmando voli diretti per l’Europa dalle città cinesi “secondarie”, saltando lunghi stop-over. L’Italia, pronostica da Londra Michelle Grant, analista di EuromonitorInternational, vedrà quasi raddoppiare la spesa dei turisti cinesi nell’arco di cinque anni, passando dai 130,9 milioni di Euro nel 2011 a 252,7 milioni di Euro nel 2016.

“E’ un mercato straordinario” conferma Bocca, “la torta è grande e una fetta spetta anche a noi. Ma noi vorremmo la fetta più grossa”. Volere è potere, ma non sempre. Bisognerebbe crederci. E invece…

“La madre di tutti i problemi” commenta sconsolata Elena David,presidentessa di Confindustria Aica che raggruppa le catene alberghiere, “è l’assenza di una governance del turismo in Italia, e il paradosso è che su questo sono tutti d’accordo; non c’è alcun coordinamento, bisogna solo sperare che i privati facciano sinergia, superando l’attuale frammentazione. Ma soffriamo di debolezze strutturali su fronti decisivi, come quelli della linguistica e dell’enogastronomia: niente traduzioni sui principali monumenti, nessuno negli alberghi che parli mandarino, nessuna conoscenza dei gusti e delle abitudini di quel Paese, siano esse culturali, alimentari o comportamentali”.

Bocciando l’Italia del turismo, l’OCSE aveva segnalato –leggi qui il dossier completo – ancora nel gennaio 2011 tre debolezze di sistema fortemente limitative anche per il segmento-Cina: la carenza di voli diretti e frequenti, la mancanza di grandi catene alberghiere e di tour operator nazionali. Altrove, i colossi si sono mossi con decisione: un anno e mezzo fa, Sol Melia ha stretto un’alleanza con Jin Jiang Hotels per lo scambio reciproco di turisti mentre Hiltonha creato il programma Huaying (benvenuti) per l’accoglienza dei cinesi nei suoi brand europei: personale che parla fluentemente mandarino, colazioni specifiche, documentazione scritta, bollitori in stanza.

Quasi in contemporanea, Starwood ha avviato il “Personalized Traveler Program” con servizi ad hoc applicati per ora in 17 hotel tra cui Le Méridien Piccadilly di Londra, Westin di Parigi e Westin Excelsior di Roma. Ma a muoversi con decisione è anche la “corazzata” Mandarin Oriental, che sta pensando di aprire a Bordeaux un albergo deluxe per i suoi turisti. La regione francese dei vini rossi pregiati è al centro dell’attenzione: diverse società cinesi stanno facendo incetta di vigneti e si preparano ad acquistare sontuosi castelli e ville padronali per trasformarli in alberghi deluxe; un esempio su tutti, Chateau Grand Moueys acquisito dal gruppo NingXia, che entro il 2013 lo convertirà in un hotel a cinque stelle. La più grande catena europea d’hotellerie, la francese Accor (Sofitel e Grande Mercure), ha aperto 66 nuovi alberghi in Cina. Obiettivo: farsi conoscere laggiù per sfruttare al meglio il marchio anche in Europa.

Ma le debolezze italiane non sono solo quelle di sistema: la presenza su internet (dove si informa il 52 per cento dei potenziali viaggiatori) è del tutto carente, per non parlare dei social media, fantastico volano turistico; i nostri outlet non riconoscono commissioni ai partner cinesi dei tour operatori italiani, quando altri Paesi come la Francia fanno loro ponti d’oro; i musei non hanno depliant scritti in mandarino e le guide che lo parlano sono ancora pochissime; per non dire della scarsissima accettazione in Italia della China Union Pay (CUP): la carta di credito unica.

Basti dire che a Londra, Harrods ha registrato un aumento del 40 per cento di clientela cinese dopo aver installato 75 terminali CUP. Ed è proprio sul fronte dello shopping che si gioca la vera partita: perché se è vero che il triangolo Roma-Venezia-Firenze è quasi irrinunciabile (magari in un solo giorno), è anche vero che i turisti “ni hao” risparmiano su alberghi e cibo – nessuna chance di prenderli per la gola, mentre adorano il gioco, per informazioni rivolgersi ai casinò di Nizza e Montecarlo – per spendere secondo alcuni sino al 70 per cento del loro budget in acquisti.

Sì, insomma: l’Europa come un unico, gigantesco outlet (sleep cheap, shop expensive), con prezzi – specialmente sui brand deluxe, – tra il 10 e il 35% inferiori rispetto a quelli praticati in Cina. Una Bengodi per i turisti, ma anche per il commercio: Global Blue ha stimato che ciascun cinese in partenza per l’Europa disponga di un budget di 11.000 euro destinato agli acquisti.Chi l’ha capito, sta già contando i soldi: nel 2011 la Swiss Watch Industry (orologi svizzeri di marca) ha registrato incassi per 5.907 miliardi di dollari con una quota di mercato del 29,7 per cento sul totale. Ovvero, un orologio svizzero su tre finisce nelle valigie dei cinesi, mentre i pernottamenti sono saliti del 30 per cento a fronte di una diminuzione generale dell’8 per cento.

In Francia, i magazzini Lafayette accettano da tempo la carta di credito cinese e offrono un conveniente servizio di tax refund e i Printemps non sono da meno; in Inghilterra, Burberryvende un terzo dei suoi stock ai cinesi grazie a personale parlante mandarino e vari dialetti regionali, con siti Internet fortemente attrattivi. E il distretto del lusso di Bond Street a Londra calcola di aver incassato nel 2010 333 milioni di dollari con un +155 per cento rispetto al 2009 e una spesa media di 1.000 dollari a negozio. Meno male che anche alcuni shopping center e duty free shops italiani hanno aderito all’accordo siglato da 18 Paesi per accettare le carte di credito CUP.

Di certo, la geografia del turismo cinese in Europa è un mix tra destinazioni scontate ed eccentriche sorprese: da Treviri, luogo di nascita di Karl Marx (13 mila visitatori annui al suo museo) a Metzingen, paesino a sud di Francoforte trasformato in una Outletcity, con il megastore di Hugo Boss a tirare le fila; del resto, a maggio i 2.800 dirigenti del colosso industriale Perfect China in vacanza-premio hanno saccheggiato l’outlet di Serravalle prima d’imbarcarsi per una crociera mediterranea da Savona.

L’Italia deve anche cercare di allargare il ventaglio di offerte. Venezia, ma anche Verona: perché Romeo e Giulietta è stata tra le prime opere di Shakespeare tradotta in mandarino e molti vogliono farsi la foto sotto il (presunto) balcone, notissimo anche in Cina. L’Enit sta cercando di proporre alternative per mercati più maturi, come l’Italia dei piccoli borghi; ma anche di spingere i tour organizzati più a sud della Toscana, verso Napoli e la Costa Amalfitana. Ma quale futuro può avere un ente a cui il decreto sviluppo sta per tagliare le gambe, cancellando le ventitrè sedi estere? Era un carrozzone, dicono in molti.

E tra il rilancio e lo smantellamento, il ministro Gnudi – che ha appena affidato una contestatissima consulenza a Boston Consulting Group per il “Piano strategico di rilancio del turismo in Italia”, un programma con linee guida al 2020 anche se il governo Monti se ne andrà a casa in primavera – ha scelto per la seconda. “Abbiamo fatto i miracoli, a fronte dei continui tagli” si difende Paolo Rubini, il direttore generale “siamo passati da 48 milioni a 34, poi 24 e ora 18. I costi fissi sono superiori ai soldi in bilancio. Ma non è solo questo: il nostro ruolo è poco chiaro, le Regioni hanno competenza esclusiva in materia di promozione turistica e spesso si fanno una concorrenza distruttiva, anziché cooperare. Con una governance confusa, come quella attuale, è impossibile ottenere risultati migliori”.

La Cina parteciperà all’Expo 2015 di Milano: sapendo che i suoi cittadini vanno matti per l’opera, il governo di Pechino ha chiesto di tenere aperta la Scala anche in luglio e agosto. Scommettiamo che qualcuno si metterà a ridacchiare, anziché prendere seriamente in considerazione la cosa?

Pubblicato sull’Espresso del 23 agosto 2012, il link originale è QUI

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